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Didattica a distanza

 

Girolamo De Simone

Teoria per pianisti

 

 

Per iniziare, leggiamo quello che scriveva Filippo Ivaldi sulla correlazione tra la teoria e lo strumento musicale Pianoforte:

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(Filippo Ivaldi, Sull’insegnamento del pianoforte, MCMXIII)

Non casualmente si è scelto questo passo, sia per sottolineare quanto sia importante conciliare memoria e innovazione sia per proporre – nell’arco dei primi anni di insegnamento – una visione unitaria di teoria e pratica dello strumento musicale.

 

 

Cos’è la musica

 

La musica è il combinar(si) di suoni e rumori. 

 

Dal Novecento, infatti, la musica utilizza anche i rumori [NB1], considerandoli come ‘suoni’ dallo spettro acustico meno regolare o ‘non periodico’.

Si possono provocare dei rumori anche con il pianoforte, inserendo oggetti tra le corde metalliche dello strumento, oppure raggruppando più suoni attraverso ‘clusters’[NB2]: basterà dare un colpo a mano aperta sulla tastiera per averne un esempio.

 

L’impersonalità della parola ‘combinarsi’ si deve al fatto che in molta musica del nostro tempo c’è una componente di casualità, come accade in alcuni arranger usati dai computer.

Sistemi musicali

 

I suoni ed i rumori possono combinarsi in modo differente a seconda se si usi il sistema tonale (quello maggiormente conosciuto) o quelli dodecafonico, seriale, aleatorio, modale. Tra questi, i più usati all’inizio della pratica pianistica sono:

 

SISTEMA TONALE

È  il sistema più noto, quello che usiamo tutti i giorni quando cantiamo un brano, o quando lo ascoltiamo. A questo sistema fa riferimento quasi tutta la musica occidentale, ma questo non significa che esso sia il sistema più evoluto, complesso o affascinante.

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SISTEMA MODALE [NB3]

È in senso molto ampio qualsiasi successione di suoni diatonici [NB4]. Molti Paesi del mondo utilizzano sistemi modali, e capita ad ogni alunno di “giocare con i tasti bianchi del pianoforte”: in questo caso si usando il sistema modale per improvvisare liberamente.

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SISTEMA ALEATORIO

Il sistema aleatorio prevede che i suoni si succedano in modo casuale. La casualità può essere totale oppure può essere limitata da alcune regole generali.

ALTRI SISTEMI

Caratteristiche del suono

I caratteri del suono sono Altezza , Intensità, Timbro e Durata.

  1. L’Altezza  è la caratteristica che ci fa distinguere i suoni in acuti e gravi.

  2. L’Intensità è la caratteristica che ci fa distinguere i suoni in forti o deboli.

  3. Il Timbro è la caratteristica che ci fa distinguere la fonte dei suoni (ad esempio se li produce uno strumento o un altro, la voce o il computer).

  4. La Durata è l’articolazione temporale di un suono, cioè la sua lunghezza.

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Attenzione: durante la pratica pianistica si confondono spesso i termini ‘alto’ e ‘grave’  con i termini ‘forte’  e ‘piano’.

Inoltre si tende a far confusione tra le indicazioni ‘più piano’, che significa suonare con minore intensità, e ‘più lento’, che significa suonare con minore velocità.

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Nomi e notazione dei suoni

 

Quando i sistemi musicali diventano più complessi si avverte l’esigenza della notazione, cioè la necessità di scrivere le melodie e le armonie per poterle conservare.

Chiamiamo ‘nota’ la parola che indica un suono ed il suo corrispondente simbolo grafico[NB5]. Nel nostro caso il segno o simbolo è una pallina (nera o bianca) con una gambetta (soltanto in un caso non c’è la gambetta) che indica un suono.

Se si guarda al centro del pianoforte si nota che immediatamente prima dei due tasti neri c’è un tasto bianco che generalmente viene chiamato “Do centrale”, a causa della sua posizione sulla tastiera.

Procedendo dal Do centrale verso destra, si hanno i suoni: Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, Do (ripetuto con lo stesso nome un’ottava sopra)

Se dal Do centrale si va verso la sinistra della tastiera si hanno i suoni: Si, La, Sol, Fa, Mi, Re, Do (ripetuto con lo stesso nome un’ottava sotto).

È opportuno che i giovani strumentisti conoscano benissimo la successione dei suoni, sia ascendente che discendente.

 

La notazione moderna prevede:

·      un insieme di cinque righi sovrapposti, detto pentagramma. Per il pianoforte vengono usati due pentagrammi sovrapposti. Tra i due pentagrammi c’è uno spazio, dove si può idealmente collocare il ‘Do centrale’ di cui abbiamo già parlato.

·      l’uso di un simbolo grafico, detto ‘chiave’, che viene collocato all’inizio del pentagramma e che dà il nome alle note. Le chiavi sono di tre tipi: ma al pianoforte si usano quelle di   violino e basso. Alcuni autori usano la chiave di Do posizionandola al centro dei due pentagrammi: ciò avviene, ad esempio, nel caso dell’usatissimo metodo Pozzoli.

Ottava

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·      Sia sui righi che negli spazi del pentagramma vengono collocati altri simboli grafici che indicano le note. I simboli cambiano a seconda della ‘figura’ usata.

·      I suoni più usati vengono ottenuti dividendo una ottava (l’ottava è data dal rapporto di 1/2 di L, cioè inserendo un cuneo a metà di qualsiasi corda tesa) in dodici parti uguali. Queste dodici parti uguali vengono chiamate semitoni.

·      I dodici semitoni, però, non coincidono esattamente con i suoni in natura. Essi vengono ottenuti artificialmente, forzando la loro intonazione naturale, in modo da poter utilizzare più facilmente tutto il sistema tonale.

·      Ai dodici suoni reali corrispondono i sette nomi di note, che ripetiamo: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si. Gli altri suoni si ottengono utilizzando dopo il nome della nota un simbolo che aumenta (diesis = #)  o diminuisce (bemolle = b) l’altezza della nota di un semitono.

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·      Il semitono temperato è la distanza più piccola usata nel sistema tonale. Non è però la più piccola distanza tra suoni. Esistono infatti molte composizioni contemporanee che attraverso una particolare notazione, e certe tecniche di esecuzione, utilizzano anche distanze tra i suoni più piccole.

·      La sequenza ascendente dei dodici suoni è la seguente: Do, Do diesis, Re, Re diesis, Mi, Fa, Fa diesis, Sol, Sol diesis, La, La diesis, Si. La sequenza discendente è la seguente: Do, Si, Si bemolle, La, La bemolle, Sol, Sol bemolle, Fa, Mi, Mi bemolle, Re, Re bemolle.

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Suoni  e dita al pianoforte

Quando si comincia a studiare il pianoforte, il maestro assegna una posizione iniziale alla mano destra ed alla mano sinistra. Generalmente questa posizione è quella corrispondente alle cinque note che vanno dal Do (pollice) al Sol (mignolo) della mano destra e dal Sol (pollice) al Do (mignolo) della mano sinistra.

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 Per rendere più semplice l’indicazione delle dita si usano dei numeri, così come nella figura:

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L’estensione

Per ‘estensione’ si intende l’ampiezza della mano, utile a coprire una certa intervallatura sulla tastiera. Il termine viene usato in analogia alla cosiddetta estensione degli strumenti musicali.

Generalmente il maestro fa sperimentare ai giovani pianisti le posizioni principali: Do, Sol, Re, La, Mi, in cui il pollice della mano destra ed il mignolo della sinistra trovano posto sulle note che danno nome alla posizione, note che vengono scelte in modo simmetrico prendendo come punto di riferimento il centro della tastiera.

Al fianco di queste posizioni, ne esiste una che amplia di poco l’estensione delle dita, e che viene tuttavia ritenuta  adeguata alla loro lunghezza naturale. Si tratta della cosiddetta “posizione di Chopin”.

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Come si può vedere dalla foto, essa copre le note: Mi - Fa diesis – Sol diesis – La diesis – Do

 

Ogni pianista ha la sua ‘estensione’, che però non è data soltanto dalla oggettiva grandezza della mano ma anche dalla capacità di divaricazione tra le dita intermedie ed esterne. Al fine di allargare l’estensione tra le dita sono stati predisposti da molti autori esercizi più o meno utili.

Tra questi troviamo interessanti, e perciò li segnaliamo, quelli predisposti da Wilhelm Backhaus, pubblicati in un volume introvabile, e dai quali riproduciamo il primo, come esempio utile alle piccole mani sul quale i maestri possono modellare esempi più semplici da usarsi subito, attraverso il metodo della scomposizione delle posizioni:

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Figure

Le figure musicali più usate all’inizio degli studi sono le seguenti:

·       semibreve, del valore di 4/4 (pausa, attaccata sotto al rigo

·       minima, del valore di 2/4 (pausa, attaccata sopra al rigo

·       semiminima, del valore di ¼

        croma, del valore di 1/8

·       semicroma, del valore di 1/16

Seguono la biscroma (del valore di 1/32), la semibiscroma (del valore di 1/64) e la quintupla o fusea (1/128). Altre figure usate in passato sono la breve (2/1), la ‘longa’ e la ‘massima’.

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(Giuseppe Frugatta, Il Pianoforte, 1911)

Il Tempo

 

Il tempo stabilisce il valore della battura e la sua naturale divisione in movimenti. La battuta o misura è individuata graficamente sul pentagramma da lineette verticali chiamate ‘spezzabattute’. La battuta viene riempita dai valori (o figure musicali che li rappresentano) che indicano la durata dei suoni. La somma dei valori occorrenti per riempire una battuta è data dalla frazione di tempo segnata all’inizio del brano. Nella frazione di tempo il numeratore indica il numero di unità di tempo contenuto nella battuta, ed il denominatore la durata di ciascuna unità (tale durata fa riferimento al quadro delle figure musicali presentato più sopra). Ad esempio, una battuta di 4/4 conterrà quattro volte la figura che vale 1/4, cioè conterrà quattro semiminime.

Il tempo

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I valori che occupano la battuta possono classificarsi:

  • unità di misura = è quel valore che da solo occupa una battuta: nel 4/4 è una semibreve;

  • unità di movimento = è quel valore che da solo occupa un movimento: nel 4/4 è una semiminima;

  • unità di suddivisione = è quel valore che da solo occupa una suddivisione del movimento. Il movimento potrà essere suddiviso in due o in tre parti a seconda che il tempo sia a suddivisione binaria o ternaria. In un tempo 2/4 l’unità di suddivisione corrisponde ad una croma.

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I tempi più usati all’inizio degli studi sono: 2/4, 3/4, 4/4; il 3/8, il 6/8 ed il 9/8. Nonché il cosiddetto tempo tagliato, che però può essere battuto dagli allievi anche in quattro (scandiranno in tal modo le sue suddivisioni, anziché i suoi movimenti).

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Espedienti per prolungare le durate: punto di valore e legatura di valore

Il punto di valore è un segno grafico che aumenta della metà il valore della figura, pausa o altro punto che lo precede. Esempio: se il valore della nota o della pausa è di 2/4, il punto aumenterà di 1/4 quella nota o pausa, portandola ad avere un valore complessivo di 3/4. Se ci fosse un altro punto ancora, esso varrebbe la metà di 1/4, cioè 1/8, e così via.

La legatura è un segno grafico che in musica svolge diverse funzioni. Per usarla al fine di prolungare le durate, essa viene disposta a cavallo di due suoni della stessa altezza; in tal caso, il secondo suono non verrà prodotto come suono separato, ovvero non verrà eseguito di nuovo, ma il suo valore verrà sommato a quello del primo suono. I due valori non devono essere necessariamente di eguale durata. Es: un Do del valore di 2/4 legato ad altro Do di eguale altezza del valore di 1/4 darà come risultato l’esecuzione di un unico Do del valore di 3/4.

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Figure irregolari

Le figure irregolari si presentano quando al posto di un certo numero di valori che ci aspetteremmo normalmente in una battuta o in un movimento, se ne presenta uno differente, che viene definito irregolare per difetto (ad esempio una duina di crome al posto delle tre che ci aspetteremmo in un tempo 3/8) o per eccesso (una terzina di crome al posto delle due crome che ci aspetteremmo in un movimento di 4/4).

I gruppi irregolari possono essere semplici (se sono presenti tutte le suddivisioni), composti (se alcune suddivisioni vengono sommate in valori più grandi), complessi (se alcune suddivisioni vengono sostituite a loro volta da ulteriori gruppi irregolari).

Esistono inoltre gruppi che sono irregolari di per se stessi, nel senso che non possono appartenere ad un tempo irregolare (ad esempio una quintina di semiminime).

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esempio: Gruppi irregolari

Il Ritmo

 

Un aspetto collegato al tempo in senso lato è il ritmo.

Il ritmo viene definito come l’ordine nella successione delle durate dei suoni. Ovvero, quando più suoni si susseguono nella battuta, in genere non hanno gli stessi valori di durata perché altrimenti il brano sarebbe di enorme monotonia. I valori di durata vengono mescolati per dare una varietà ‘di durata’ nella successione dei suoni. È  questa varietà che si dice ‘ritmo’. Nei manuali classici si dice che tale successione ritmica “può ripetersi simmetricamente una o più volte”, ed allora caratterizza fortemente il brano.

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Questa caratterizzazione ritmica, unita ad altri aspetti di ‘costruzione’  del pezzo, conterà molto per definire quella che si chiama la ‘forma’ di una composizione.

Il Metro

 

Per alcuni studiosi non c’è differenza tra ritmo e metro. Altri pensano che tale differenza esista.

Per i giovani che iniziano la pratica pianistica è utile pensare che alla scansione metrica corrisponda il cosiddetto ‘conteggio’ verbale dei movimenti della battuta, più o meno scandito se si voglia o meno sottolineare la presenza di unità di suddivisione:

U-NO / DU-E / TRE-E / QUA-TTRO  (Þ 4/4)

U-U-NO / DU-U-E / TRE-E-E (Þ 6/8)

Spesso, durante la pratica pianistica, il maestro suggerirà di correggere la scansione metrica del brano, laddove l’allievo conti male o proceda ad accentuazioni ‘metriche’  erronee.

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La musica respira

Tenendo conto di quello che abbiamo descritto parlando di tempo, ritmo e metro, occorre ora introdurre un concetto nuovo. L’Agogica è il particolare respiro che lo strumentista conferisce ad una frase e ad un brano. Consiste in un misurato allargamento e corrispettivo restringimento delle maglie ritmiche su quello che è il sostrato metrico del brano. Si potrebbe dire, estensivamente, che la metrica stessa, che è alla base del brano, viene dilatata e poi ristretta, e che conseguentemente le ritmiche che risiedono sul piano metrico vengono a loro volta dilatate e ristrette. È  un tema importantissimo per l’interpretazione musicale, perché è proprio l’agogica la tecnica attraverso la quale si può conferire ad una composizione il respiro e l’unicità che rendono tale l’interprete. L’agogica si mette a punto attraverso l’ascolto di grandi interpreti del passato, ed ascoltando l’esempio esecutivo dei maestri.

Lo Spazio

 

Spazio orizzontale: melodia

I suoni sono in relazione temporale, come si è già detto. Essi, tuttavia, generalmente si susseguono in un certo modo, più o meno strutturato. Quando consideriamo la loro successione non semplicemente sotto l’aspetto temporale, di durata, ma anche sotto l’aspetto del loro ‘senso’ (significato o direzione), essi danno luogo alla melodia. La melodia può o meno essere inserita nel sistema tonale. Per semplicità generalmente parliamo di una ‘melodia’ tonale, che può essere canticchiata. La melodia, quindi, è la successione lineare (orizzontale) di più suoni.

 

Le scale

La più semplice forma di successione orizzontale tra suoni si chiama ‘scala’. È  la più semplice perché procede per gradi congiunti, ed è facile da intonare con la voce per ragioni storiche.

Le scale più usate nel sistema tonale sono quelle riportate nell’esempio.

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Se si parte da un determinato suono (ad esempio ‘Do’), e si procede di grado in grado per tutti i dodici semitoni, si ottengono le dodici tonalità maggiori e le dodici minori, più sei tonalità (tre maggiori e tre minori) che vengono usate dalla teoria per completare il cosiddetto ‘circolo delle quintÈ , un espediente che consente di chiudere in modo razionale il sistema. Complessivamente, si dice, le tonalità sono quindi trenta, anche se in realtà le trenta tonalità teoriche corrispondono soltanto a ventiquattro successioni, se si pensa ai suoni reali (prescindendo cioè da quei suoni che possono chiamarsi in più modi: ad esempio do diesis = re bemolle).

Quindi si è proceduto in questo modo: individuata una certa successione particolare tra toni e semitoni, la si è fatta viaggiare sui dodici gradi (suoni) cromatici, mantenendo intatto il rapporto iniziale tra toni e semitoni. Ciò implica che ogni tonalità muti le alterazioni di chiave, in modo da favorire la lettura.

La tonalità viene definita in base al modo, che è appunto la successione particolare tra toni e semitoni che individua nel sistema tonale il modo maggiore e quelli minori, ed al tono, il cui nome è dato dal primo suono della scala (tale suono si chiama tonica).

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Intervalli

Nella dimensione spaziale, tra un suono e l’altro esiste una relazione chiamata ‘intervallare’ . L’intervallo è la distanza tra due suoni successivi (lineari) o simultanei (verticali).

Un quadro sintetico degli intervalli, che tenga conto delle più moderne teorie, può essere il seguente:

QUADRO DEGLI INTERVALLI DELLA SCALA DIATONICA EPTAFONICA

 

1a giu. Þ unisono o prima giusta

2a min Þ seconda minore

2a magg Þ seconda maggiore

3a min Þ terza minore

3a magg Þ terza maggiore

4a giu. Þ quarta giusta

4a ecc. Þ quarta eccedente o tritono

5a dim. Þ quinta diminuita

5a giu. Þ quinta giusta

6a min. Þ sesta minore

6a magg Þ sesta maggiore

7a min. Þ settima minore

7a magg.Þ settima maggiore

8a giu. Þ ottava giusta

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Spazio verticale: armonia

Quando in un brano musicale esistono più linee di suoni sovrapposte, ecco che tra loro nasce anche una relazione ‘verticalÈ  o armonica.

Generalmente, se questi suoni mantengono una funzione di accompagnamento, la relazione armonica si dice ‘accordale’ , nel senso che si privilegia in quel brano la funzione di ‘accordo’ svolta dai suoni sovrapposti.

Con alcune generalizzazioni e semplificazioni, si può dire che se i suoni sono sufficientemente autonomi, si parla di ‘polifonia’ (che può essere omoritmica o poliritmica). Se invece il loro rapporto segue certe regole tonali molto precise, allora la loro relazione si chiama ‘contrappuntistica’. 

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Principali funzioni armoniche

Nella pratica strumentale capita spessissimo che un allievo debba ‘accompagnarÈ  un altro allievo nella lezione di musica d’insieme (vedi glossario). Spesso sarà necessario che l’allievo conosca almeno alcuni accordi fondamentali, anche se in modo empirico, ed alcune nozioni relative al collegamento tra gli accordi, ed alle relazioni strutturali che si presentano più frequentemente.

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La forma

Quando gli elementi temporali e spaziali vengono posti in certe relazioni reciproche già stabilite per convenzione o per evoluzione storica, tale relazione o fusione dà luogo ad una certa forma musicale. La forma musicale è, secondo Andrè Hodeir, “il modo in cui un’opera si sforza di raggiungere l’unità”. La definizione di Hodeir è complessa perché tiene conto dei parametri ‘genere’ , ‘stile’  e ‘struttura’. In realtà la distinzione tra generi si considera oggi molto più elastica, come sarà chiarito più avanti. Basti considerare che, più semplicemente, la forma può essere considerata come l’architettura di un brano, prescindendo dal fatto che poi quella architettura identifichi o meno un genere. Ogni brano avrà una sua architettura, più o meno vicina ad alcuni standard convenzionali, che assumono i nomi, ad esempio, di ‘Sonata’, ‘Danza’, ‘Fuga’, etc.

L’espressione

 

Un aspetto molto importante per gli allievi pianisti, e che tuttavia viene spesso trascurato, è relativo a quella parte della teoria che studia l’espressione. Dell’Espressione fanno parte la Dinamica [NB6], il Fraseggio [NB7], le agogiche, e quindi, in senso più ampio, anche l’interpretazione che il pianista dà del brano nel momento in cui lo esegue.

 

Dinamica

Per Dinamica si intende comunemente ciò che riguarda l’intensità dei suoni termine introdotto nel 1810 da Nageli per indicare l’intensità del suono.
Le dinamiche fanno parte dell’ Espressione.

I segni dinamici più usati all’inizio della pratica strumentale sono:

pp (pianissimo)

p (piano)

mp (mezzopiano)

mf (mezzoforte)

f (forte)

ff (fortissimo)

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La Dinamica per i pianisti

Per quanto riguarda lo specifico della pratica strumentale, il termine ‘dinamica’, che deriva dal greco ed indica la “forza”, viene usato anche per indicare tutto quanto riguarda: i movimenti delle dita, della mano, del braccio, etc. La Dinamica pianistica riguarda quindi l’intensità con cui i pianisti ‘toccano’ la tastiera e, in senso più esteso, i ‘tocchi’ in generale. Riguarda quindi:

  • Il peso: il tasto si abbassa almeno con una pressione di 100/120 grammi. Si può arrivare di grado in grado fino ad un peso di un Kg e più (Longo). Tale peso viene regolato dal pianista seguendo la propria sensibilità. Per Longo, esso può essere determinato dalla percussione (caduta dall’alto senza impiego di forza) o dalla pressione (se la mano è già a contatto della tastiera, comporta un lieve irrigidimento dal quale occorre liberarsi subito).

  • Il gesto: componenti gestuali relative all’uso delle mani, braccia, tronco, testa, persona intera.

  • L’articolazione: definisce le modalità di movimento tra le dita

 

 

Fraseggio

Il fraseggio è materia vastissima nella quale rientrano a seconda dello strumento: i respiri, gli andamenti ritmici, gli andamenti delle frasi, il rispetto delle sospensioni, pause, attacchi e la relazione tra periodi, frasi, incisi.

frase:   a) inizio. Ritmo tetico (battere), anacrusico (levare), acefalo (con pausa iniziale);

            b) aspetto melodico, ritmico e armonico.

 

Segni di espressione

Segni grafici che indicano alcuni modi d’esecuzione (ad es. legatura di portamento, accenti, punti d’espressione, tratteggiati, sospensioni, etc.)

 

Staccati

Gli staccati generalmente sottraggono 1/2 del valore delle note.

Lo staccato marcato prevede anche un accento. Lo staccato incisivo invece prevede un rinforzo del suono. Lo staccatissimo generalmente sottrae 3/4 del valore della nota. Viene chiamato ‘staccatissimo’ fino all’epoca di Czerny; si chiama ‘martellato’ da Czerny in poi.

Lo staccato secco è più asciutto o secco del portato.

 

Tratteggiati

Il tratteggiato è l’antico portato. Il tratteggiato semplice si esegue piano, partendo vicino allo strumento. Tuttavia il vero portato classico comporta suono pieno e melodioso. Il portato classico sottrae 1/4 del valore reale della nota, e se c’è successione tra più note portate comporta un accento (ciò si traduce, ad esempio nella pratica strumentale pianistica, nella leggera caduta del dito sui tasti).

Il tratteggiato legato, se eseguito sulla stessa nota, comporta che un suono entri quasi nella scia dell’altro. Sul pianoforte, ad esempio, quasi non si rialza il dito dal tasto. Il tratteggiato legato, segnato su note diverse, si intende come se fosse un fraseggiato, quasi ‘declamato’.

Il tratteggiato di valore o ben tenuto intende che si debba ben tenere l’accordo per tutto il suo valore (tale tratteggiato, quindi, è differente dagli altri, nei quali generalmente si sottrae valore alla nota).

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esempio: "segni di espressione"

Sospensioni

Sono l’apostrofo (respiro), il fiato (respiro lungo), il punto coronato (prolunga “ad libitum”, cioè a picere, ma generalmente  aumenta della metà il valore della nota sulla quale è posto), la ‘breve interruzione’ .

 

Cesura

Quando c’è la cesura viene sospeso lo scorrimento metrico del brano, assecondando il significato musicale voluto dal compositore e scelto dall’esecutore.

 

Legatura di portamento

Segno di espressione è anche la legatura di portamento, che unisce note consecutive di altezza diversa. Altre legature sono quella di valore, che non rientra nei segni di espressione, ma negli espedienti usati per prolungare le durate dei suoni, e quella di frase o periodo. Quest’ultima lega più note e può essere combinata con segni di staccato o di tenuto

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esempio: "segni di espressione 2"

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esempio: "altri simboli"

Andamenti musicali

  • Possono riferirsi alla velocità da attribuire alla composizione: Lento, Grave, Adagio, Allegro, etc.;

  • possono definirne il carattere: Solenne, Vivace, Calmo, Agitato, etc.;

  • possono riguardare modifiche di movimento graduale: accelerando, affrettando, stringendo, ritardando, etc.;

  • modifiche improvvise: più mosso, meno mosso, etc.

 

Accenti

Esaminiamo dapprima i principali tipi di accenti:

metrico: regolare (cade sui tempi forti della battuta) irregolare (non coincide col tempo forte)

ritmico: sottolinea la struttura ritmica della frase)

espressivo o dinamico: modo d’attacco del suono (appoggiato, staccato, sforzato, etc.)

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quando in una battuta gli accenti vanno a cadere in luoghi differenti da quelli che ci aspetteremmo, si ha la sensazione di una irregolarità nell’alternanza degli stessi. Questo spostamento si può chiamare sincope se lo spostamento d’accento avviene tramite suoni, oppure contrattempo (o controtempo) se lo spostamento avviene grazie alla presenza di pause laddove ci saremmo aspettati i cosiddetti accenti forti.

 

 

L’espressione attraverso i suoni del pianoforte

 

È opportuno che i pianisti curino le differenti modalità di approccio al tasto in relazione al tipo di suono desiderato

Si dovrà ascoltare qual è tipo di suono che produciamo quando siamo alla tastiera: come riproduciamo un certo segno di legato o di staccato? Quale tocco usiamo? Che suono produce tale tocco? Quella che segue è una piccola sintesi delle innumerevole specie di suoni, relazionati ai segni grafici di espressione già trattati.

 

Suono legato: si segna con un espediente grafico arcuato denominato “legatura”. Ma che significa ‘legare’ e cosa si intende per ‘articolare’?

  • “legare” indica un modo di suonare. Non bisogna fare pause (alzati) o saltellini. Dopo aver suonato la prima nota, per legarla alla seconda, occorrerà abbassare il secondo tasto mentre si sta alzando il primo. Occorrerà, dunque, un movimento di articolazione.

  • articolare” è come far passeggiare le dita sui tasti. Alcune scuole incitano gli allievi “ad alzare le dita (ricurve) fino al cielo”, evitando quindi di distenderle completamente. Per capire il movimento basta chiudere il coperchio del pianoforte e tamburellarvi con le dita leggermente ricurve. Con ciò si starà semplicemente articolando: ma bisognerà anche legare.

espressivo o dinamico: modo d’attacco del suono (appoggiato, staccato, sforzato, etc.)

Se ci si stanca

Attenzione: se ci si stanca vuol dire che si sta usando una posizione della mano sbagliata. Quelle che seguono sono esempi di posizione cosiddetta ‘naturale’ della mano, viste dal lato del pollice e dal lato del mignolo.
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Piccolo campionario di suoni

Suono legatissimo: si ottiene quando, nel legato, le dita non rilasciano completamente il tasto del suono precedente.

Suono tenuto: è vicino al campo della polifonia: le singole note di una frase possono essere tenute il più possibile per creare un effetto di tipo organistico; una delle note inferiori viene tenuta per creare una sorta di pedale o una di quelle superiori per ottenere un legato melodico-cantabile: in quest’ ultimo caso è un espediente che rientra appropriatamente nel trattamento polifonico delle voci.

Suono portato: riguarda sia l’attacco che il rilascio del tasto. E’ evidente, infatti, che qualsiasi modalità particolare di attacco di una nota coinvolge il rilascio della nota precedente. Il suono portato è una via intermedia tra quello legato e quello staccato. Si può ottenere in diversi modi, sollevando l’avambraccio prima del suono o dell’accordo ‘portato’ (quanto sollevarlo è funzione del maggiore o minore accento che si darà al suono che si vuole produrre), utilizzando la mano che cade dall’esterno all’interno del tasto, o viceversa che strappa delicatamente (ad esempio se c’è un suono tenuto col mignolo); infine può esserci un portato realizzato solo con le dita, ad esempio quando si vuol dare incisività ad una nota tematica, e si usa una caduta di dito tenendo ferme le altre dita. Il portato viene segnato graficamente con un trattino posto sopra la nota, e perciò alcuni autori lo classificano come “tratteggiato” (N. MONTANARI e G.L. DARDO, Mani sull’avorio, Ancona, 1988, Bèrben, p. 74-75). Quando il trattino si accompagna ad un punto si avrà un attacco simile a quello usato per il portato, ma un rilascio più rapido; quando invece sarà accompagnato da una legatura si avrà, su note ribattute, un effetto di suono tenuto (in tal caso bisognerà prestare molta attenzione all’entrata del secondo e del terzo, facendo in modo che la sua intensità si ‘inserisca’ in modo scalare in quella del suono immediatamente precedente); su note differenti, invece, viene usato per far risultare particolarmente cantabile una frase o un tema: in questo caso si attua un portato di dito come quello descritto più sopra, procrastinando il rilascio del tasto a seconda del rubato prescelto. Occorre fare attenzione ad interpretare il trattino sulla nota sempre e solo come portato: può in alcune grafie indicare anche un accento, e se combinato con un forte o un fortissimo, o uno sforzato, indicare anche un martellato eseguito con primo e terzo dito congiunti.

Suono staccato: è quello al quale si sottrae una parte di valore, generalmente quantificata nella metà della durata della nota. Come già detto si segna graficamente con un puntino al di sopra della nota o dell’accordo. Il suono sarà differente a seconda se si staccherà di dita, di polso o di braccia (e sistemi misti).

Suono appena staccato: è quello in cui si sottrae al valore della nota un quarto del valore. Si segna col puntino sulla nota, ed è sormontato dal segno grafico della legatura. È piuttosto vicino al portato.

Suono molto staccato o staccatissimo: è quel suono al quale si sottraggono i 3/4 del valore. Viene indicato con un piccolo cuneo segnato sulla nota. Montanari e Dardo, giustamente, fanno notare che da Liszt in poi si è usato il cuneo per indicare anche il cosiddetto martellato. Ma il segno, se trasferisce un’idea ed è propriamente ‘simbolo’, va letto in continuità con la tradizione: manifesta in ogni caso un chiaro richiamo di attenzione improvvisa; che essa venga ottenuta con il secco staccato su una delle più antiche tastiere, o come un martellato su una di quelle moderne, quel che conta è la discontinuità di episodio che il compositore vuole evidenziare.

Altri tipi di suoni: la tecnica contemporanea del pianoforte prevede diversissime modalità di approccio al tasto per ottenere variegati tipi di suoni, generalmente per dare risalto al timbro. Questa ricerca, che può grossolanamente essere fatta risalire a Liszt, ma che passa per Schoenberg e molti contemporanei, comprende l’uso del martellato, della zampa di leone, dei clusters (=grappoli di note) bianchi, neri e misti, di mano, di pugno, di gomito, avambraccio; comprende semicluster di palmo, volatine realizzate con la rotazione delle mani, suoni appena accennati ottenuti con lo sfioramento dei tasti con qualsiasi parte delle dita (unghie  comprese), rombi ottenuti con differenti tipi di tremolo, mordenti e trilli volontariamente sporcati,  etc. In tutti questi casi, molto avanzati e che sfiorano la trattatistica specializzata di semiografia musicale, sarà il maestro di riferimento a fornire ai pianisti i chiarimenti necessari (alcune informazioni in proposito sono in: L. DONORà, Semiografia della nuova musica, Padova 1978, ed. Zanibon).

Polifonia

Pedale

Musica d’insieme

Per Musica d’insieme si intende genericamente qualsiasi tipo di musica svolta da un insieme di strumentisti. Quindi tutti i momenti di fusione tra esecutori dello stesso strumento o di differenti famiglie strumentali, sia che essi si riuniscano in un insieme da camera (= Musica da camera), in una Banda o in una Orchestra, con o senza la partecipazione di un coro, costituiscono momenti di Musica d’insieme. Vediamo uno per uno i diversi momenti.

 

Musica da camera: è la musica scritta per piccoli complessi strumentali (o vocali e strumentali), da un minimo di due fino ad un massimo di dieci strumenti. Nella Musica da camera ogni strumento (o parte, o ‘voce’) segue una sua linea, cioè non ‘raddoppia’ gli altri strumenti. Questa definizione, in realtà piuttosto rigida, ha molte eccezioni, perché molti brani prevedono in partitura punti in cui le voci si raddoppiano. Un vecchio pregiudizio da sfatare è quello per il quale i pianisti durante la musica da camera si limiterebbero ad ‘accompagnare’ gli altri strumentisti. Invece non c’è subordinazione artistica tra i due ruoli, ma diversa strutturazione. La parte che accompagna, generalmente fatta di accordi, fa da tessuto alla parte melodica, che da sola non potrebbe reggersi.

esempio: movimenti di direzione per la musica d’insieme

 

Banda: indica un tipo particolare di raggruppamento strumentale. La dizione squisitamente musicale intende per banda quella formata prevalentemente da strumenti a fiato, o quella di tipo jazz. Una consuetudine giuridica, tuttavia, suggerisce per il termine un significato di “insieme formato da musicisti non professionisti”, vale a dire sprovvisti del titolo di diploma. Forse la dizione ‘banda’ potrebbe essere usata propriamente per le formazioni che nascono in seno ai corsi ad indirizzo strumentale, anche se ciò non accade che raramente.

 

Orchestra: la musica orchestrale non è musica da camera, ma genericamente musica d’insieme. Prevede un largo uso di strumenti differenti. La dizione ‘orchestra’, nei corsi ad indirizzo strumentale, viene quindi usata un po’ impropriamente, visto che in genere gli strumenti insegnati in ciascun corso sono solo quattro. Tuttavia una certa differenziazione è possibile in alcuni settori, come ad esempio quello delle percussioni, laddove proprio i pianisti possono ricoprire un ruolo, dal momento che gli allievi non possono essere utilizzati tutti contemporaneamente alle tastiere o al pianoforte, anche per ragioni di equilibrio timbrico.

 

Tener presente, per la riuscita ottimale dei momenti di musica d’insieme, la perfetta accordatura tra gli strumenti e l’uso di un buon arrangiamento.

Famiglie strumentali

Voci umane e parti

Partitura e spartiti

Arrangiamenti

Accordatura

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Esempio di facile trascrizione per insieme di bambini

Ascolti

Un momento molto importante per ‘digerire’ bene la lezione strumentale è la possibilità di ascoltare gli altri mentre stanno suonando, sia durante la lezione di un diverso strumento, che durante la musica d’insieme o la lezione di pianoforte di un compagno.

Tuttavia si tende a dimenticare che anche l’ascolto di grandi interpreti del passato è altamente formativo. Per questo formuliamo alcuni consigli con un elenco selezionato di celebri esecuzioni.

Consigli per gli ascolti

 

Lettura a prima vista

E’ opportuno coltivare la lettura a prima vista. Per farlo occorre una unica accortezza: mai smarrire il gusto per la scoperta di nuovi brani (evitare di eseguire solo quelli di repertorio); mantenere vivo l’aspetto giocoso del fare musica; divertirsi anche con parafrasi d’opera, trascrizioni, canzoni, pezzi jazz; non congelare e non ‘sacralizzare’ i propri esperimenti di lettura. Non si consiglia, invece, di leggere a prima vista gli esercizi, perché si potrebbe essere tentati di farlo nella parte della giornata dedicata al lavoro tecnico; inoltre, la specificità di un esercizio, oltre a rendere meno vigile l’attenzione di chi sta leggendo potrebbe mettere a rischio una mano non ancora sufficientemente riscaldata.    

 

 

Altre parole da conoscere

Cadenza: è una formula convenzionale che suggerisce allo strumentista che si sta per ‘chiudere’  un brano o una parte importante di un brano. Esistono più formule cadenzali, generalmente piuttosto semplici da riconoscere.

Incipit: si può chiamare così l’inizio di un brano o di una parte o frase di esso particolarmente significativa.

Impostazione: termine usato per indicare la giusta posizione degli strumentisti e dei cantanti.

Imitazione: si ha imitazione quando in un brano una voce riprende una frase o parte di essa che già si era presentata.

Inciso: è un brevissimo spunto melodico o ritmico. Più incisi formano la semifrase; due semifrasi formano la frase; più frasi formano il periodo musicale.

Interpretazione: è l’importantissima attività dello strumentista grazie alla quale si personalizza la scrittura ed il segno lasciato dal compositore sulla carta rendendolo nuovamente vivo ed attuale. Senza interpretazione c’è la mera esecuzione, vale a dire una esecuzione soltanto formalmente corretta. Oggi anche le macchine possono riprodurre esecuzioni solo formalmente corrette.

Modulazione: c’è modulazione quando in un brano si passa da una tonalità ad un’altra. Ciò è segnalato dalla presenza di differenti segni di alterazione. Se questi segni si presentano al basso è facile riconoscere la nuova tonalità. Se c’è un diesis (o un innalzamento di semitono) inaspettato quella nota potrebbe essere la sensibile o il secondo grado di una nuova tonalità. Se c’è un bemolle (o un abbassamento di semitono) quella nota potrebbe essere il quarto o il sesto grado di una nuova tonalità.

Progressione: indica la ripetizione di più modelli melodici, armonici o contrappuntistici, a distanza di grado/i discendente/i o ascendente/i. In sostanza si tratta di formule riconoscibili facilmente sia all’ascolto che alla lettura, attraverso le quali si può arricchire di movimento un brano: dato un modello lo si fa salire o scendere di grado (ad esempio da Do a Re o da Do a Si).

Ripresa: c’è quando nel brano si ripresenta uno dei temi principali della composizione.

Ritornello: ha più significati. Quello che più interessa la pratica strumentale è il ritornello inteso come segno grafico (i due punti prima del doppio spezzabattute) che implica una ripetizione di una intera sezione o di una o più battute di un brano.

Sensibile: è il nome di uno dei gradi della scala, per la precisione del settimo grado della scala diatonica nel sistema tonale. Questo grado è particolarmente importante perche tende a ‘risolvere’  sulla tonica, cioè verso l’ottavo grado.

Sequenza: è una forma musicale medievale, ma oggi per sequenza si intende qualsiasi successione di suoni o rumori, più o meno organizzati.

Smorzando: indicazione che suggerisce agli strumentisti di attenuare progressivamente l’intensità sonora assieme alla pulsazione ritmica.

Soggetto: termine che può indicare nella scrittura polifonica il tema principale.

Sordina: accessori usati per ottenere, con i differenti strumenti, sonorità particolari, in genere di smorzamento dell’intensità.

Sostenuto: indicazione agogica che prevede un meno mosso o un ritenuto. Quando però accoppiata ai termini adagio o andante (es: andante sostenuto) vi si intende una maggiore precisione della scansione metrica (in tal caso, infatti, si usa il termine ‘sostenuto’ nel suo originario significato di “tenere le note per tutta la loro durata”).

Vibrato: nella pratica strumentale indica un rapidissimo oscillare del suono verso l’acuto e il grave. Si ottiene con tecniche particolari nei differenti strumenti. Può realizzarsi con le tastiere, ma non con il pianoforte.

[NB1] Il rumore, a differenza del suono, non ha caratteristiche periodiche perché è formato dalla sovrapposizione di più onde differenti.

[NB2] Grappoli di suoni: è una tecnica molto usata nella musica di oggi.

[NB3] Il ‘modo’ è uno degli aspetti particolari di una scala, per il quale le varie altezze sono poste in successione ascendente a partire da una nota determinata (L. Verdi).

[NB4] Diatonico = che procede per toni e semitoni naturali e per gradi congiunti, cioè -semplificando- senza saltare alcun nome di suono, come chiarito più avanti.

[NB5] Il ‘simbolo grafico’ è un segno che rappresenta qualcos’altro.

[NB6] Dinamica: ‘coloriti’ o gradazioni di intensità del brano che si esegue.

[NB7] Nel fraseggio rientrano anche i cosiddetti ‘segni di espressione’.

Consigli per gli ascolti

Consigli per gli ascolti

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