top of page
MEMORIE INCONCILIATE: LUCIANO CILIO
Estratto da “Border/ Memorie inconciliate a Napoli”, rubrica di Girolamo De Simone per l'inserto culturale "Ultrasuoni/Alias" del quotidiano "il manifesto", pubblicata l’8 gennaio del 2000.
«È un paradosso, ma giunti al Duemila la memoria si fa ancora più ostinata. Sedici anni fa moriva Luciano Cilio. Si trattava di un musicista serio, rigoroso e delicato allo stesso tempo. Capace di commuovere con i toni dolcissimi, mediterranei, delle sue composizioni, e contemporaneamente di fustigare con parole al vetriolo le istituzioni sorde alle emergenze della cultura e indifferenti al percorso solitario degli artisti. Cilio sommosse più di un territorio, e quando la malattia costrinse Demetrio Stratos in un letto del Memorial Hospital di New York, si mobilitò assieme ad altri napoletani, a Bob Fix, Eugenio ed Edoardo Bennato, Toni Esposito, Alfio Antico, per aiutarlo attraverso un concerto.
"Aspetti musicali italiani degli anni Settanta", a Milano, fu una occasione di solidarietà mai più dimenticata. Se ne fece anche un disco, pubblicato da una etichetta trasgressiva ma attentissima agli sviluppi più importanti della musica italiana di quel periodo. Sulla copertina figuravano i nomi di tutti i partecipanti, compreso quello di Luciano. Ma, all'interno, nulla: il brano era stato tagliato. Una musica troppo trasgressiva, lontana dal rock ma diversa dalla colta contemporanea. Troppo anticipatrice per poter essere riprodotta sul vinile della Cramps. (...) L'episodio del concerto per Stratos resta un esempio eclatante, e non certo il solo, di incomprensione e rimozione.
La verità è che Napoli, "capitale della cultura", ha dimenticato nel corso degli anni e dei secoli molti dei suoi figli, dei quali restano spesso soltanto tracce disseminate qui e là, disperse e dissipate, materiali che raccontano musiche, disegni, appunti di viaggio interrotti da brusche sparizioni. (...)
Davvero una sensazione di gelo, gelo come isolamento, si percepisce in tutta chiarezza nei percorsi sommersi di altri intellettuali ed artisti, napoletani di nascita o d'adozione. Ermanno Rea ne ha parlato nel travagliatissimo Mistero Napolentano quando descrive il filo sottilissimo che unisce la morte della giornalista Francesca Spada a quella di Renato Caccioppoli. Il matematico, discendente del rivoluzionario Bakunin, avrebbe potuto scegliere qualsiasi altra dimora e la sua fama l'avrebbe certo preceduto. Eppure era sempre tornato nella sua città: "Napoli e Caccioppoli si amano perché non si rassomigliano in niente. Si attraggono per forza di contrasto".
Rea ha una felice intuizione: colloca a metà degli anni Cinquanta "la pietrificazione di quell'eternità chiamata Napoli". Pietrificazione, rimozione, solitudine che hanno provocato emigrazioni e scomparse non compensabili. Ci restano lavori incompiuti, testi inutilizzati, opere mai più replicate e infine smarrite, gettate via, in qualche caso perdute per sempre. Un limbo che si nutre di una intollerabile, insopportabile rimozione collettiva. Sul taccuino delle memorie inconciliate possono scriversi i nomi di Alfonso Gatto, nonostante premi e scarne biografie, quelli di Antonio Neiwiller, Annibale Ruccello, Enzo Striano, Luciano Cilio, Valeria Saporito. E parecchi viventi ancora si dibattono in attesa di un evento che possa dare al loro percorso etico, civile, artistico almeno una parziale visibilità non subito accartocciata e buttata via.
In quel classico che è Napoli N.N., con gli occhi di un salernitano, Gatto scriveva: "Napoli è una città d'azzurro, una città fredda. I suoi pallidi abitanti che vivono di grazia e di ragione sanno che essa è un ricordo, e mostrano di crederci, trovandola persino vera qualche volta, vera, cioè rispondente all'immagine che se ne erano fatta".
(Foto di Fabio Donato)
info: inastriritrovati@gmail.com
bottom of page